Teatro

Debutta in prima nazionale a Torino “Don Giovanni”, il trionfo dell’eros

Don Giovanni (prove)
Don Giovanni (prove) © Andrea Macchia

Molière è la prima regia subalpina di Valerio Binasco, nuovo direttore artistico del Teatro Stabile di Torino.

Debutta il 3 aprile, in prima nazionale al Teatro Carignano di Torino, ”Don Giovanni”, di Molière, una produzione dello Stabile di Torino e con la regia di Valerio Binasco. Regista, ma anche attore teatrale e cinematografico (recente la sua interpretazione nel film Nome di donna, di Marco Tullio Giordana, accanto a Cristiana Capotondi) Binasco è il nuovo direttore artistico del Teatro Stabile di Torino.

Presentando lo spettacolo, Binasco ha dichiarato:
”Oggi avvertiamo l’urgenza di recuperare il rapporto con il pubblico. Per questo, dobbiamo fare l’impossibile per renderci comprensibili, emozionare lo spettatore e non farlo sentire estraneo rispetto all’opera”.


Don Giovanni, le origini di un seduttore

Don Giovanni (Gianluca Gobbi) è il leggendario seduttore, simbolo non soltanto dei trionfi dell'eros, ma anche della rivolta della libido contro le remore della teologia. Comparso per la prima volta nel dramma di Tirso de Molina El burlador de Sevilla y Convidado de piedra, con Molière si traduce in mito della letteratura europea. La nuova pièce teatrale del drammaturgo francese, Don Giovanni (1665) rappresenta un’ulteriore offensiva contro la morale perbenista della sua epoca: la commedia riprende il tema della religione e della sua funzione nella società e nella morale collettiva, già affrontato nel Tartufo.
Il carattere libertino di Don Giovanni è la declinazione estrema dell’aspirazione alla libertà. Anche quando il suo atteggiamento sfocia nella blasfemia, non contraddice la figura dell’eroe solitario, che orgogliosamente osa sfidare perfino Dio.

La difesa della fede

La difesa dei dogmi della fede viene assunta da Sganarello (Sergio Romano), servitore ridicolo, simbolo della forzata confusione tra religione e superstizione. Né la figura del Convitato di pietra (Fabrizio Contri) né la morale finale imposta dalla tradizione riescono a riscattare, agli occhi del pubblico, l’immagine del libertino, immorale ed empio.